Lo studio non basta: come inserire i figli in azienda

calendar 2019-07-02

Se le prime generazioni non hanno studiato o hanno studiato poco, spesso è dovuto al periodo storico e alle condizioni economiche in cui sono cresciute. A volte, però, la causa è anche legata all’urgenza tipica dei fondatori, quella di non aspettare la fine degli studi per buttarsi nella mischia e creare una propria azienda.


Per chi nasce e cresce in una impresa di famiglia, invece, studiare diventa un percorso fondamentale se desidera avere le competenze necessarie per lavorare e avere responsabilità in una azienda già formata. Ma studiare non basta.

Due cose sono davvero importanti: formare uno spirito imprenditoriale e allo stesso tempo avere l’opportunità di fare esperienze diverse, in aziende diverse.

Spirito imprenditoriale

La scuola tradizionale, nata dopo la rivoluzione industriale, ha lo scopo di formare competenze da inserire in modo disciplinato nelle strutture produttive, non di formare imprenditori. Come si coltiva, quindi, lo spirito imprenditoriale? Lasciando spazio ad autonomia e creatività, creando le condizioni per giocare a fare mercato come le limonate alla Charlie Brown.

Se lo spirito imprenditoriale è uno spirito animale, come diceva l’economista Schumpeter, in buona parte è legato al temperamento, alla voglia di intraprendere e di rischiare con cui si nasce. Ma è anche uno spirito che si può coltivare con l’esperienza, permettendo ai figli di osservare e di mettersi in gioco. Quanto ci preoccupiamo di esporre i nostri figli ad occasioni da cui possono assorbire lo spirito imprenditoriale? Quanto permettiamo che i nostri figli fin dai primi anni possano fare da soli e sbagliare?  


Modi diversi di fare impresa

Se la prima esperienza lavorativa dei figli avviene tra le mura dell’azienda familiare, c’è il rischio che i figli stessi diano per assodato un determinato modo di gestire l’azienda (quello dei genitori). L’impresa, infatti, è gestita a immagine e somiglianza di chi la guida. Se i figli non hanno avuto esperienza in altri contesti, non possono fare confronti, non hanno le esperienze e convinzioni per poter proporre nuovi modi per gestire determinati aspetti dell’azienda che ritengono migliorabili. Ricordiamoci, infatti, che non c’è un unico modo di fare impresa: se i figli fanno esperienza fuori dall’azienda di famiglia, possono poi tornare e portare idee nuove proprio perché possono capire che ci sono modi più efficaci  perché sono stati coinvolti in prima persona nella realizzazione di determinati progetti in un’altra realtà.

Nel caso in cui, invece, i figli non lavorano per altre aziende, potranno soltanto diventare le fotocopie dei loro genitori e, si sa, le fotocopie non sono mai come gli originali. In questa situazione si creerebbe una logica secondo cui i genitori vedranno i figli sempre inadeguati perché sono la loro “brutta copia”. Al contrario, se i figli riescono a osservare l’impresa di famiglia con un occhio più autonomo (frutto di esperienze esterne) l’azienda potrà trovarne un grande giovamento, sempre che i genitori siano disponibili al confronto.

 

Crearsi un’autostima

Altro motivo per cui è importante che i figli abbiano svolto delle esperienze esterne prima di entrare nell’impresa di famiglia, è che possano formarsi la propria autostima.

Se un figlio è cresciuto solo nella sua impresa di famiglia avrà sempre il dubbio delle sue competenze.

Se invece riesce a crescere professionalmente in altre aziende, saprà che non ottiene responsabilità in azienda solo perché figlio dei titolari. Avrà infatti dei risultati che parlano per lui: nel suo percorso lavorativo precedente ha ricevuto degli incarichi, ha chiuso dei progetti, ha acquisito delle competenze comprovate. Grazie all’esperienza esterna i figli entrano in azienda con la convinzione di valere qualcosa.

Quali esperienze fare?

La domanda che può venire spontanea a questo punto è: “Quali sono le esperienze esterne che possono essere utili per i figli, in vista di un inserimento nell’impresa di famiglia?”. Non c’è un percorso ideale, ma prima di intraprendere qualsiasi esperienza è necessario chiedersi quanto questa avvicini o allontani i figli dall’azienda e quanto le competenze che ne conseguono possano essere utili all’impresa di famiglia.

A volte, le risposte a queste domande possono essere molto varie e diverse dai classici percorsi svolti dai figli di imprenditori. Un esempio è quello dello sportivo professionista, tanto distante dall’impresa di famiglia ma che può formare competenze preziose per fare l’imprenditore: il valore del team, la gestione della sconfitta, il lavoro per obiettivi, tutte competenze utilissime anche in un contesto aziendale. Oppure di chi si espone ad esperienze di vita e lavoro in contesti culturali distanti dal proprio, e a casa un bagaglio di esperienze e di vita.

 

La Carta di Famiglia

I consigli che abbiamo espresso fino a questo momento acquistano senso solo se condivisi tra tutti i membri della famiglia imprenditoriale. Nelle imprese di famiglia, infatti, si commette spesso l’errore di dare per scontato certe regole, certi doveri, certi valori, aspettandosi determinati comportamenti dagli altri. Per questo è necessario adottare degli strumenti che possano aiutare a “mettere nero su bianco” le regole da rispettare per ottenere determinate conseguenze.

 

Con lo scopo di agevolare questa condivisione e per facilitare la stesura di un documento che aiuti l’impresa di famiglia, FBU ha creato la Carta di Famiglia: uno strumento gratuito che aiuta a confrontarsi e dialogare su quei temi delicati.

Quali sono i limiti e vincoli per poter entrare in azienda nelle posizioni di potere?  Il figlio dovrà riportare direttamente ai genitori oppure a un manager esterno? Il processo che porta alla costituzione della Carta di Famiglia aiuta a esplicitare le risposte e a definire questi temi complessi, spesso fonte di equivoco.

 

Se vuoi confrontarti con noi sul tema e capire come possiamo aiutarti, mandaci un’email a info@familybusinessunit.it: possiamo fissare un appuntamento gratuito per parlarne.